In questi giorni la scuola, come sapete, ha vissuto vicende impegnative, accompagnando e sostenendo situazioni di vita di allievi in grave caduta. Con gli studenti e anche con i genitori coinvolti abbiamo approfittato della sapienza di un libro evergreen, troppo spesso snobbato: Pinocchio per meditare e capire. E così anche con voi, cari genitori, nessun proprio si tiri fuori voglio consegnarvi qualche pensiero partendo dalla rilettura di questa avventura letteraria

L’incontro con Pinocchio, lo devo ammettere, per me era ogni volta una sofferenza: stavo in ansia tutto il tempo, seguivo con il fiato sospeso le sue scorribande e più di tutto mi arrabbiavo moltissimo perché faceva soffrire e tribolare il suo babbo. Oddio e adesso cosa combinerà! Che ingrato! Che sciocco! Egoista, incosciente e irrispettoso! Più lo rileggevo e meno lo sopportavo (il che la dice lunga sul bambino che ero, più che su Pinocchio).

Ma nel saggio che si nasconde dentro la “bambinata” – come Collodi aveva definito il romanzo – non si ricostruiscono solo i processi mentali e di pensiero dei bambini, il progressivo modificarsi delle capacità cognitive, l’emergere del giudizio morale, il passaggio dall’irresponsabilità alla capacità di impegnarsi ad orientare il proprio futuro. Si offre anche un interessante spaccato sulla genitorialità, con spunti di grande attualità.

Numerose sono le analogie tra Geppetto e i genitori d’oggi. Pinocchio è un figlio desiderato, nasce per essere un balocco “maraviglioso”, che suscita stupore e arriva quando il falegname è in età non più giovane. Geppetto lo ama di un amore sincero, indiscusso e volto al sacrificio di sé: si priva della giacca e resta al gelo per comprargli l’abbecedario, va in prigione per lui, lo cerca in lungo e in largo, fino a farsi inghiottire da un pesce-cane.

Geppetto offre al figlio una comprensione indiscussa e assoluta, che si accompagna però ad una generale difficoltà ad arrabbiarsi, a definire regole e limiti. Sempre pronto a cedere, come nell’episodio delle pere: “Io non mangerò mai una frutta che non sbucciata, le bucce non le posso soffrire”, dice Pinocchio e “quel buon uomo di Geppetto, cavato fuori un coltellino e armatosi di santa pazienza sbucciò le tre pere”. Per Geppetto il burattino prova tenerezza, si preoccupa per lui, ma ha anche bisogno di autorevolezza. “Senti, io non sono convinto – risponde Pinocchio a Lucignolo che lo invita nel paese dei Balocchi – e poi il mi babbino starà in pensiero… poi se vengo al paese dei Balocchi la fatina si arrabbia…”.

Eccessiva accondiscendenza ed esasperato sacrificio, a lungo andare, si rivelano  un’arma a doppio taglio. A furia di correre dietro al suo figliolo, Geppetto appare spesso esausto e sofferente: troppo stanco per riuscire ad accompagnarlo fin dentro la scuola, come confessa a mastro Ciliegia, senza energie per organizzare la fuga dal pesce-cane..

Pinocchio, però,  scrive Collodi, non può restare prigioniero del suo essere burattino, nemmeno nello splendido teatro di Mangiafuoco, perché a differenza dei suoi fratelli di legno riconosce e proclama di avere un padre. Il senso del padre è dunque la sola sorgente possibile della liberazione dalle molteplici tirannie che affliggono l’uomo. Pinocchio riesce a raggiungere la sua perfetta libertà interiore e a realizzarsi perfettamente in tutte le sue virtualità soltanto quando si oltrepassa e arriva a possedere una natura più alta della sua, la stessa natura del padre. Noi come i nostri figli  possiamo essere veramente  realizzarci soltanto se partecipiamo  a una vita più ricca; l’uomo che vuole essere solo uomo, si fa meno uomo.
Ricordiamoci però che la storia dell’uomo, come è concepita e narrata in questo libro, non ha un lieto fine immancabile. Gli esiti possibili sono due:
se Pinocchio si sublima per la mediazione della Fata nella trasnaturazione che lo assimila al padre, Lucignolo — che non è raggiunto da nessuna potenza redentrice — s’imbestia irreversibilmente. La nostra vicenda può avere due opposti finali: o finisce in una salvezza che eccede le nostre capacità di comprensione e di attesa, o finisce nella perdizione.

BUONA PASQUA!