In questi giorni in cui si fa memoria dei “vivi per sempre”, ossia di tutti quelli che hanno vissuto in amicizia con Dio, in cui la  natura si spegne, le giornate si accorciano e il Covid avanza mi sovviene alla mente la mia nonna Lisetta, vissuta cent’anni (19011-2011). Nata a Cormano, dove vivo anche io, da famiglia medio benestante, aveva fatto le scuole tecniche a Milano, i suoi biglietti di auguri li conservo con tanto affetto, perché carichi di fini e apprezzati pensieri, scritti con una calligrafia perfetta, forse grazia alla bacchetta delle maestre molto esigenti che l’hanno avuta come allieva. Tra le sue parole ricordo quelle che spesso lasciavano affiorare:  le esperienze legate alla guerra (la prima e la seconda mondiale), quella della diffusione della spagnola, della difterite per cui mia mamma venne sierata, senza che fosse necessaria, perché in quel momento suonava l’allarme che preannunciava bombardamenti, vicini all’ospedale di Dergano. Da quella inopportuna puntura la mia mamma Luigia iniziò una lunga e faticosa battaglia. Ogni volta che le  saliva la febbre c’era da tremare, raccontava la nonna Lisetta: era cosa da poco o invece infezione maligna? scottava la fronte per giorni, e non se ne voleva andare… Penso a mia nonna Lisetta  e alle sue notti,  come a quelle di molte madri semplici che nelle corti del mio paese chine su un figlio malato, aspettavano fiduciose il canto del gallo…  perché la luce del giorno rendesse meno incerto il tempo della malattia. Questi ricordi che mi portano indietro nel tempo, grazie a Dio molto lontano dall’oggi,   si congiungono ai pensieri e alle parole scambiate in questi giorni con molti madri e padri giustamente preoccupati, smarriti, attoniti di fronte ad un tampone positivo, non  abituati a non vedersi risolvere  un’influenza se non in pochi giorni. Noi, venuti al mondo dopo l’avvento degli antibiotici, siamo la prima generazione che ritiene la salute una cosa, finché almeno si è giovani, garantita – tranne drammatiche, ma fortunatamente rare eccezioni.  Ma io mi chiedo come questa mia nonna starebbe, se fosse viva, di fronte al nuovo allargarsi del Covid. Forse, con un certo stupore. Donna di altri tempi e di alta tempra, abituata fin da piccola a fare i conti con la precarietà fisica, incapace a cent’anni di accettare di essere vissuta così a lungo quando molti suoi compagni di classe non erano neppure riusciti a finire la scuola elementare nell’unica aula mal riscaldata della scuola del paese, dove ci si passava pidocchi, odori e germi che minavano il vivere sereno di una comunità. E’ ovvio che in noi avanzi sbalordimento, puoi anche essere forte, e non temere per te; ma, e i figli?  Non è possibile che non esista un farmaco, che ponga fine a questa situazione. Eppure sembra che bisogni ancora attendere e le madri dei ragazzi che si ammalano gravemente di Covid oggi tornano a essere, nell’animo, quelle di cento anni fa: sgomente, impotenti, tese al minimo segnale di miglioramento. La pandemia è anche un salto indietro nel tempo. Ma come starebbe mia nonna, oggi? Forse ci osserverebbe un po’  pensante per il nostro sbigottimento,  per la nostra ossessione che ora sta mietendo più vittime del Covid.  Non so cosa ci direbbe davvero mia nonna Lisetta ma certamente dalle sue labbra uscirebbe una frase con cui sono diventato grande: “Va che senza al Signur sa fa nagot (niente)”, e ancora  “Ti Signur guarda gio,  (giù) te se propri lì a fa nient?”. Egli cresciuta nella precarietà era capace di guardare in alto, senza farsi vincere dal panico che oggi ci paralizza, ci spinge a correre e intasare al Pronto Soccorso, per ottenere l’esito di un tampone a cui seguirà un tempo di attesa inerte.. Certo la nonna Lisetta quando usciva al mattino   a cavar l’acqua nel cuore della corte, si sentiva  sorretta dalla premura delle donne,  che avendo sentito la voce delirante della Luigia chiamare “Mamma”,  sveglie e sgomente recitavano un’Ave Maria  come a loro era è stato insegnato a fare: vivere è domandare, è pregare.  So solo che vorre avere qui la nonna Lisetta, con le sue mani ruvide e la sua faccia forte e una fede vera capace di annunciare con la sua vita che si vive e si muore, ma in Dio. Nel disegno di un Dio che vede e abbraccia ogni uomo. Vorrei anche io che le madre e i padri di questi tempi fossero capaci di offrire serenità, reggendo il dolore e conservando integra la speranza. In mille interminabili notti, e in mille albe: la mia cara nonna Lisetta leonina ma quieta, e ostinata”.