L’anno scolastico 2022/23 è ormai agli sgoccioli.  Compiti in classe, interrogazioni, scrutini e poi le agognate vacanze, le uniche che sembrano davvero meritevoli di essere vissute, tradendo persino lo spirito originario con cui si viveva e si era pensata la scuola, scholé ossia tempo libero.

Nei fatti c’è chi sta cercando strade alternative: il liceo Morgagni di Roma ha avviato la sperimentazione (quindi studenti=cavie) di una scuola senza voti e  innumerevoli istituti  non assegnano più compiti a casa, specie durante “le sacre vacanze”, per dare spazio alla libera determinazione del sé!

Tutto questo ci racconta, a mio dire, di un’epoca – la nostra – in cui si vuole portare a compimento l’ormai decennale operazione di istupidimento di un’intera popolazione, nonché di allevamento di docili uomini e donne lobotizzate.

La scuola aperta a tutti i cittadini nacque, in Europa, alla fine dell’Ottocento. Rappresentò certamente un grande passo verso l’uguaglianza e la democrazia, poiché fino a quel momento si erano potuti istruire soltanto i figli delle famiglie ricche, quelle che riuscivano a permettersi un precettore privato in casa. L’istruzione popolare si è rivelata come lo strumento più efficace per diffondere il sapere in maniera equanime tra la popolazione e per garantire la mobilità sociale (che altro non vuol dire se non la valorizzazione dell’impegno e del merito da parte dei singoli individui, a prescindere dalla condizione della famiglia di provenienza).

Certo è che da alcuni lustri, almeno da quando trent’anni fa mi affacciavo a questa professione, il livello di preparazione della scuola è andato gradualmente peggiorando, per una serie di fattori socio-economici e culturali impossibile da riassumere qui, diventando persino imbarazzante.

Questa degradazione graduale ma costante dell’istruzione sta producendo effetti che sono sotto gli occhi di tutti: classi dirigenti e politiche spesso impreparate, ceto intellettuale pressoché assente dal dibattito pubblico se non sotto forma di finti battibecchi o polemiche costruite ad arte a beneficio dello spettacolo; artisti e scrittori che producono perlopiù immondizia e che vengono beneficiati da spazi autorevoli sulla base della loro capacità di apparire o di saper fare comunicazione; un’opinione pubblica largamente degradata, non solo pronta a seguire l’imbonitore di turno, ma ormai piombata nella spirale dell’anti-scienza e della superstizione social a cui fornire credito; un quadro socioculturale, a cui aggiungere il ferineo colpo di massa inferta a giovani e giovanissimi, che alla maniera di docili robot ripetono tutti le stesse identiche azioni, affamati di selfie, di like e di uno stare costantemente in mostra nella vetrina online, mentre si frantumano i vetri della vita reale.

E ora questa proposta scellerata di una scuola senza voti. Apparentemente rivolta alla salute dei ragazzi, si rivela come il colpo di grazia alla formazione delle nuove generazioni. Con quasi il 99,6% di diplomi e lauree concessi agli studenti, infatti, il sistema della formazione sta implodendo. Conservatori e reazionari di fine Ottocento accusavano la Scuola di uccidere genio e talento, oggi si mira direttamente a non produrli, a mortificare ogni possibilità di scelta da parte dei ragazzi di voler distinguersi.

Ma come ultimo contributo dell’anno scolastico voglio persino essere più provocatorio?

Avere figli con i compiti da fare o con voti negativi è davvero un problema per i ragazzi/e o costituisce un elemento di messa alla prova delle attese e delle aspettative dei genitori?

Voglio essere ancora più esplicito: un figlio che non ha compiti da fare, ci consente il weekend libero, di andare e salire dalla spiaggia a piacimento, di fare tardi o presto a secondo delle occasioni, di andare a fare compere, e godersi, giustamente, il proprio tempo libero senza preoccupazione alcuna. E ancora uno studente bravo a scuola non crea discussioni in casa, non impone supplemento di attenzione, non ci fa sentire inadeguati come educatori, insomma non ci dà alcun problema.

Cari genitori vi auguro una estate sufficientemente complicata, sapendo che chi semina nelle lacrime mieterà nel giubilo, perché smettendo di guardare il dito che sta appena davanti, si possa incominciare a guardare la luna

Un giorno la vite disse al potatore: “Perché mi stai venendo incontro con quelle forbici? Forse mi vuoi potare come si faceva al tempo d’una volta? Buttale via: non sai che adesso i tempi sono cambiati!?“. “Già, rispose il padrone: a pensarci bene non hai torto: non siamo più ai tempi d’una volta!“. E poiché i tempi erano cambiati, non la potò. E così in autunno la vite non ebbe uva. Come al solito, vennero gli amici per assaggiare il vino nuovo. “Non c’è vino nuovo. I tempi sono cambiati!” disse, sconsolato, il proprietario della vigna