Riprende con ottobre la pubblicazione del “contributo educativo” del Direttore, di solito poche righe per aiutare a forgiare gli attrezzi del mestiere “del crescere”  e contribuire a guadagnarci, direbbe don Bosco, l’affare d’anime più importante che abbiamo tra le mani: “la salvezza” dei nostri figli/e.

Poche righe che si possono leggere ovunque, in ufficio, in autobus, da smartphone, persino in bagno. Si possono contestare addirittura replicare direttamente a direttore@donboscovillage.com

Quest’anno vorrei, iniziare, declinando meglio quell’invito che ho rivolto a voi genitori ed insegnanti qualche settimana fa:  “una parola in meno e uno sguardo in più”!

Lo sguardo, difatti, è il primo e più indiretto modo per rassicurare che “va tutto bene” o per suscitare riflessioni   sul fatto che si ha la netta impressione che  il “nostro gioiello di famiglia“, non ce la stia” contando proprio giusta”. A volte ci capita, invece, di guardare i nostri figli ma di non vederli veramente, pensando, che pre e adolescenti si dispongano  volentieri, al confronto con noi adulti, a nostro piacimento

E così  sui ragazzi finiscono, troppo spesso,  occhi stanchi, delusi, preoccupati o  allarmati da uno starnuto in più del solito. Lo sguardo del genitore è uno sguardo che contiene, rassicura, dà forma al pensiero dei figli.
Io esisto se tu (genitore) mi vedi (mi riconosci), il tuo sguardo mi dà uno spazio e un tempo per esistere …per questo dovrebbe essere uno sguardo pulito e consapevole, mai  “neutro”, per la natura emotiva e affettiva della relazione stessa!
A volte incontro genitori per i quali i figli sono l’unica, esclusiva ragione di vita e di serenità,  obiettivo assolutamente sbagliato e fuorviante, invadente di una zona di aspettative e moltiplicatore di proiezioni che, di conseguenza, rendono opaco il bene genitoriale, inquinandone lo sguardo. I nostri figli non sono nostri, sono i figli della vita stessa (Gibran), sono figli che regaliamo al mondo…

Vorrei augurare un anno di sguardi che vedano davvero, capaci di riconoscere quello che  veramente è.  Un anno di  sguardi che riesceno a smuovere al bene dopo aver scoperto errore, menzogne, tradimenti, sguardi che ti entrano dentro, e che ti dicono senza bisogno di alcuna parola: “Tu sei bello, ed io ti amo”.

I ragazzi ci parlano di sé anzitutto attraverso i loro occhi e noi attraverso i nostri.

Osservateli, sentiliteli” a livello tonico, ascoltate i loro ragionamenti,  le loro relazioni interpesonali senza interferire MA dite loro con gli occhi  il vostro “mi piace” o “non mi piace”. Vi ascolteranno più che dopo un ammonimento o peggio ancora un silenzio indifferente.

 

«Don Bosco con il suo sguardo misurato, calmo, sereno, spesso con un motto, un sorriso, accompagnato dallo sguardo fisso, valeva una domanda, una risposta, un invito, un discorso intero… Tante volte Don Bosco guardava un giovane in modo così particolare, che i suoi occhi dicevano ciò che il suo labbro in quel momento non esprimeva e gli faceva comprendere ciò che desiderava da lui. E il buon giovane rispondendogli col labbro stupiva di aver perfettamente compreso il ragionamento intellettuale di Don Bosco. Talvolta si trattava di cose che non avevano alcuna relazione con ciò che prima era detto, oppure si aveva in quell’istante visto od operato; era personalmente un’interrogazione che personalmente non riguardava l’interrogato: un comando, un avviso, un consiglio per la scuola, per la ricreazione o per altro.

E si intendeva benissimo. Sovente seguiva con lo sguardo un giovane in qualunque parte egli andasse del cortile e dei portici, mentre egli conversava tranquillamente con altri. Ma ad un tratto lo sguardo di quel ragazzo s’incontrava con quello di Don Bosco e leggendo in quell’occhio così limpido un desiderio di parlagli, veniva a chiedergli che cosa volesse da lui. Essi restavano confusi, moriva sul loro labbro la parola e sentivano in sé che egli conosceva qualche loro segreto. E infatti leggeva nel loro volto qualche

oscurità di colpa o di rimorso. Un suo leggero muover di capo allora bastava: non vi era più bisogno di altro invito; restava solo da stabilire il momento della confessione…» (dalle Memorie Biografiche di don Bosco libro VI, 420-421).