Nei giorni scorsi, durante la restituzione di un compito in classe un allievo liceale segnalava che al compagno di banco non era stato corretto un errore, debitamente cerchiato invece sul proprio. Il docente, rammaricandosi della svista e pensando al fatto che le verifiche servano a misurare le conoscenze e le competenze degli studenti necessari per consentire il grado di apprendimento successivo, modificava il voto assegnato ingiustamente, dando ragione della gravità della sua svista e delle caratteristiche dell’errore “sfuggito” al suo lapis.
Ne conseguiva un giusto disappunto e mugugno in classe, che a casa si traduceva in una mail infuocata da parte del genitore, con termini a dir poco surreali quali “compiuta selvaggeria”, “violazione della privacy”, “umiliazione pubblica”, “reato penale “ai sensi dell’art. 476 del codice penale, ovvero “falsita’ materiale commessa da un pubblico ufficiale”, in quanto il voto era stato già reso pubblico.
Ho giustamente lasciato al Coordinatore didattico la risposta di merito alla famiglia disorientata, ma mi sia consentita in questa sede una riflessione più ampia, per evitare di rimanere tutti “schiacciati dal perso dell’enorme presente”, che rischia di renderci incapace di guardare l’oltre, misurando correttamente e adeguatamente la portata delle cose, delle parole e la finalità delle azioni.
Se ce ne fosse ancora una volta bisogno, ripeto a gran voce, che nelle scuole di don Bosco, da centocinquant’anni a questa parte, si viene anzitutto per diventare grandi, che quello che sei vale infinitamente di più di quello che sai, che l’albero della conoscenza è anzitutto quello che ti rende capace di distinguere il bene, dal male, che non contano semplicemente le tue performance, che occorre anzitutto essere onesti, leali, impegnati perché anche la caduta e l’errore una volta riconosciuti e chiamati per nome servono per alzarsi e migliorarsi.
Il processo di insegnamento e apprendimento è anzitutto un processo educativo che non può essere ridotto a semplice meccanica. Carissimo genitore cosa desideri davvero per tuo figlio? Che cresca imparando o che cresca tramite inutili scorciatoie? Dove pensi che finisca il tuo agito e il tuo tentativo di strenua difesa del tuo “pargol divino”? Ti disturba maggiormente un’insufficienza meritata o un deficit di conoscenza reale?
Mi sia consentito di affermare che in questo mondo stiamo crescendo giovani sempre più tecnologici e funzionalisti ma li stiamo svuotiamo nella categoria del senso. Ed è proprio in questo tipo di panorama in cui l’educazione diventa semplicemente trasmissione di un’attitudine pratica che si vengono a creare quei vuoti che generano anche tutte patologie a cui assistiamo: insicurezza, angoscia, frustrazione, paralisi davanti alle grandi scelte della vita. Sono tutti frutti di un’educazione che ha smesso di trasmettere un orientamento e ci ha spiegato semplicemente un funzionalismo […] e che il mondo è fatto di nemici, da cui difendersi e individuare come colpevoli del tuo errore e fallimento.
La nostra società ci educa a funzionare, ci spiega la meccanica delle cose, ha spostato tutta la sua significanza nell’apparato tecnologico dell’esistenza, ma ha eluso completamente la domanda di senso, ha cioè smesso di trasmettere una direzione, un orientamento.
Proviamo a guardare meglio i nostri figli, più liberi, meno di pancia e con minor spirito di convenienza. “I nostri figli non sono i nostri figli. Sono i figli e le figlie della brama che la vita ha di sé. Essi non provengono da voi, ma attraverso di voi. E benché stiano con voi non vi appartengono”. Lasciateli macerare VI PREGO!
Quest’anno facciamo tutti l’esercizio di attuare uno spostamento dello sguardo: alleniamo il nostro occhio a guardare al presente, senza ad esso completamente aderire, ponendoci in una posizione di confine, che ci permetta di volgere lo sguardo all’altrove. Volgere lo sguardo all’altrove, per ri-pensare, ri-significare, ri-dire le cose cercando con tutta l’anima e tutto il cuore la verità che non solo fa bene, ma fa vivere meglio. Scorgiamo con occhio straniero quello che uno sguardo completamente aderente al presente non è in grado di cogliere, per poter iniziare a intravedere ciò che l’accecante luce dell’evidenza e della trasparenza sembra celare