I figli che abbiamo voluto, cercano e desiderato non sono nostri.
Noi siamo semplici collaboratori del Creatore
I nostri figli non ci appartengono nella maniera più assoluta
Possiamo amarli, ma non dargli i nostri pensieri
Possiamo proteggerli, ma non vivere per loro.
Essi hanno i propri destini, i propri orizzonti,
Che non sempre coincidono nemmeno con quelli che avremmo mai pensato buoni per un solo istante.
Possiamo sforzarci di essere simili a loro,
ma non dobbiamo cercare di renderli simili a noi.
perché la vita non torna mai nella forma primitiva.
Essi sono ricchi di potenzialità, risorse e capacità
E nel contempo, perché umani,
portatori di errori, difetti e imperfezioni.
Guardiamoli sempre con fiducia, mai con compassione
Amiamoli sempre ma non compatiamoli mai
Non sostituiamoci a loro nemmeno
quando ce lo chiederanno piangendo.
Crediamo piuttosto nelle loro potenzialità, persino nella portata benefica dell’errore,
Rifuggiamo, invece, come il male assoluto dalla tentazione
Di dargli prima che chiedano,
di coprirli di cose anziché farli incamminare sulla strada del desiderio
che accende la passione e suscita energie di bene.
E quando ci toccherà scegliere cosa concedere e cosa trattenere
Preghiamo Dio perché ci renda capaci di non abdicare al nostro ruolo
in nome del cuore, che spesso offusca la sana ragione e il bene sincero.
Valga sempre e comunque la buona regola della reciprocità:
“a chiunque è dato molto sarà chiesto in cambio”
Pena la debolezza perpetua. E BUON CAMMINO!
Voglio consegnare a voi in questo tempo particolare che ci separa dall’evento unico e straordinario che ha reso possibile vivere sperando, la Pasqua, la poesia/riflessione che ho scritto in occasione delle pagelle di pentamestre.
L’invito non è quello certamente di fermarsi ad un giudizio estetico ma di utilizzarla a modi domande, rileggendo e soffermandosi in particolare sulle parte scritte in neretto.
PROVIAMO A CERCARE IL SILENZIO in questi 40 giorni almeno una volta alla settimana.
La verità e la bontà del nostro agito, INFATTI, può essere conosciuta solo andando a raccogliere nel silenzio il riflesso del raggio divino che si infrange nello specchio perfettamente levigato del nostro cuore, che deve essere interrogato per essere purifificato. Il Principio eterno può, infatti, essere colto solo nel momento in cui la coscienza cessa di essere frastornata dal rumore dell’impeto e della passione.
Io immagino un genitore non come uno che sa ma come uno che cerca.
Questo processo, come tutti i cammini, non solo giova a figli che abbiamo avuto in dono, ma conduce ciascuno di noi a scoprire i mondi superiori e a prendere dimora nella stazione della prossimità della Verità, proprio cercando di compiere piccoli passi quotidiani di maggior consapevolezza sul vissuto proprio e quello altrui.