In prossimità della Festa di don Bosco sorge spontaneo domandarsi che senso abbia celebrare questa ricorrenza  a più di duecento anni dalla  nascita di questo contadino piemontese.  Ispiratore di molte opere, intestatario di molte istituzione,  ideatore di un interessante sistema educativo,  costruttore di un sistema scolastico di eccellenza,  MA  egli, direbbe  certamente qualcuno, è morto e sepolto da 133 anni.  Ma forse a ben guardare egli è più  VIVO ora di un tempo.

A  Juba in Sud Sudan, circa 15.000 persone vivono nel campo profughi proprio perché li ogni giorno figli di don Bosco distribuiscono cibo e medicinali,  a gente che il mondo e le istituzioni sembrano aver dimenticato e non offrono alcuna possibilità di riscatto e sopravvivenza

Nella città Don Bosco a Medellín (Colombia),  centinaia di ragazzi  hanno in questi anni ripreso gli studi dopo essere stati per mesi soldati della guerriglia delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) grazie alla presenza dei salesiani che hanno aperto scuole laddove regnava la legge della morte e della violenza.

A Kakuma (Kenya settentrionale), nel campo profughi dell’ONU di 300.000 persone, solo ai salesiani, e a nessun altro,  è  stato concesso anni fa di soggiornarvi  la sera,  e oggi, addirittura di vivere tra queste famiglie,  gestendo una scuola che  insegna un mestiere e  costruendo alcune parrocchia  in varie zone del campo, in quanto è stato riconosciuto loro  uno straordinario  stile educativo, lo stile di don Bosco.

In Sierra Leone, Etiopia,  Angola, in India i salesiani ogni notte fanno visita nei covi di decine di ragazzi che vivono e dormono per strada  e annusano’ prodotti chimici, vernici e adesivi che distruggono i loro polmoni.  Questi figli di don Bosco, proprio come  il loro fondatore,  cercano  questi diseredati fino a quando accettano di andare alla casa salesiana per lavarsi, mangiare e stare lì se vogliono.

A Damasco e Aleppo, in Siria, distrutte al 70% dalla guerra, tanti giovani animatori, studenti e universitari, con estrema dignità e lucidità, insieme ai  salesiani hanno scelto di rimanere in città, per continuare ad accogliere ogni giorno centinaia di giovani perché la guerra nel loro Paese sia un po’ meno terribile.

E non da ultimo mi sovvengono in mente le decine di figli  e figlie di don Bosco che hanno scelto di condividere la vita, lottando per  preservare l’identità  di quei popoli indigeni, come gli  Yanomami, i Xavantes, i Boi-Bororos del Brasile, gli Shuar dell’Ecuador.

Ecco, allora che posso affermare che don Bosco non solo è vivo, ma  che  i suoi sogni si sono sviluppati e sono andati ben oltre quello che lui stesso avrebbe potuto sognare.

Allo stesso tempo provo un profondo desiderio di riscatto, di rilancio,  di risveglio  della  nostra stanca e immobilizzata Europa, con la pancia troppo piena, con il cuore un poco atrofizzato e  la mente  troppo tesa alla salvaguardia del proprio particulare, ossia del proprio interesse.

Così  penso che sia giusto fare Festa, continuare a  desiderare e pregare,  perchè aumentino genitori, insegnanti, allenatori, preti , che guardando a don Bosco, amino i giovani, liberandosi dalla paura e dall’eccesso di prudenza che oggi rattrappisce l’azione educativa  gli slanci in avanti, la capacità di proporre  grandi sogni e grandi ideali.

Così  penso che sia giusto fare Festa, continuare a  desiderare e pregare perché ci siano ragazzi e ragazze che tra  i loro influencer lascino uno spazio a don Bosco,  che ancora oggi, è capace di offrire passioni e vie per innamorarsi  davvero della vita, degli uomini e delle donne camminando con i piedi ben piantati per terra e abitando con il cuore nel cielo.