Mi è capitato di recente di parlare con due genitori e percepire nelle loro parole il rammarico di non avere un figlio particolarmente intelligente, constatazione che intristiva il loro cuore e che li portava nel colloquio più volte ad usare il mal confezionato termine “poverino”.

La prima cosa che mi sento di dire ad alta voce è che occorre stare molto attenti a non confondere le capacità logico-deduttive, le abilità cognitive e quelle pratiche con l’intelligenza,  virtù che natura impartisce a sua discrezione, ma dote che l’educatore esperto è in grado di favorire nel suo accrescersi.

La parola intelligenza deriva dal latino intus-legere: andare nel profondo, vedere dentro.

La lettura etimologica del termine ci pone davanti immediatamente il problema con il quale dobbiamo lottare ma anche la soluzione.

 

Il pericolo si chiama: frenesia

Oggi viviamo ad una velocità che supera talvolta anche i limiti consentiti dal buon senso, in cui tutto scorre troppo rapidamente, in cui i fatti e le informazioni passano dallo stomaco all’intestino senza essere digeriti, ossia siamo all’interno di in un contesto meno adatto all’attenzione, all’osservazione calma e profonda, che favorisce appunto la formazione di persone intelligenti.

La risorsa si chiama: interrogativo

Mi capita sempre più spesso di vedere, soprattutto mamme, che si occupano tantissimo, oserei dire troppo dei loro figli: ce li hanno sempre in mente, davanti agli occhi, sono sempre in moto per dar loro tutto quello che possono. Ma ritengo che il compito di noi adulti non sia semplicemente quello di occuparsi di loro, ma sia molto più difficile e faticoso. Dobbiamo a mio dire, tentare di promuovere nei giovani le domande giuste, gli atteggiamenti consapevoli, gli sguardi profondi che formano il cuore e la persona in maniera intelligente, rendendola capace di scegliere e giudicare le cose nel profondo, condizione per essere riconosciuta intelligente.

Direbbe Socrate, che educare non consiste nel trasmettere dei contenuti ma nel buon modo di discorrere: la ricerca del vero non è altro che l’arte di porre domande.

E mi sia consentito chiudere in modo provocatorio: per porre domande di valore, capaci di educare all’intelligenza, bisogna averle e per averle occorre anzitutto coltivare la propria intimità. Non è mai finito il tempo della formazione e mai è troppo tardi per iniziare!