A fine estate un imprenditore amico mi chiama per raccontarmi la fatica sostenuta con un giovane che in alternanza si atteggiava come se fosse un navigato lavoratore, mal sopportando le indicazioni di lavoro

A fine di settembre viaggio a Roma. Davanti a meraviglie e capolavori invidiati dal mondo sguardi  e commenti di improponibile superficialità e, davanti a  ordinarie fatiche e complicanze tipiche di un viaggio atteggiamenti di supponenza e presunzioni di poter organizzare “miglior cose”.

Qualche giorno fa, ho dovuto spiegare ad una gentile ragazza che se fosse la docente starebbe in cattedra ma per ora sta nel banco, e che, avendo molto da imparare, sarebbe opportuno non mostrarsi mai e senza motivazione alcuna superiore al “maestro”.

Mi madre, saggia e semplice donna del popolo avrebbe letto queste ricorrenze con un detto milanese “pisan ancamo in lecc…”[lascio la traduzione libera e per chi la intende]

A me, invece, è venuto in mente il  libro  di Jean M. Twenge  che si intitola “Generation Me”. L’autore   afferma che il problema  maggiore di queste generazioni sta in una imperante scuola di pensiero pedagogica, quella che ha indotto tantissimi genitori a far crescere i loro figli riconoscendo e valorizzando in continuità quello che sono. L’autore purtroppo conclude che: “Anziché creare bambini ben adattati e felici, il movimento per l’autostima ha creato un esercito di piccoli narcisisti”.  Pe Per anni si è pensato, infatti , che se i genitori non  avessero fatti sentire speciali i loro figlioli, questi  non avrebbero sviluppato una sana autostima. E così molti figli sono cresciuti ricevendo solo lodi, gratificazioni, soddisfazioni di inutili bisogni  e  così oggi, a detta di tutti, ci troviamo con generazioni “fragile”, impreparata ad affrontare delusioni, critiche e insuccessi. Rattrappiti narcisisticamente e concentrati sui propri desideri il rischio vero è quello che da adulti faranno fatica a stringere legami duraturi,  soffrendo di stati d’ansia e depressione e riempiendo la poltrona e il lettino degli psicoterapeuti. Per sviluppare davvero autostima i ragazzi non hanno bisogno di sentirsi dire continuamente che sono speciali, devono piuttosto conseguire risultati concreti. Non è sufficiente che credano in sé stessi. Devono impegnarsi ad acquisire, utilizzare e perfezionare determinate capacità (Proverbi 22:29). Inoltre hanno bisogno di interessarsi degli altri (1 Corinti 10:24), ma tutto questo richiede un ben più faticoso percorso, quello di riconoscersi creature e non creatori. Bisogna, in altre parole, seminare e far crescere semi di umiltà, che passa anche da una sana mortificazione, parola completamente cancellata dai processi educativi. Siccome non vogliamo essere genitori del “però” giustificativo o del pero che ci tiene lontano dalla concretezza, concludo con una pagina tratta da Il Solco di Josemaria Escriva, con cui rileggere, ed eventualmente intervenire, sul lavoro fatto con il proprio figlio/a

Lascia che ti ricordi, tra gli altri, alcuni sintomi evidenti di mancanza di umiltà: – pensare che ciò che fai o dici è fatto o detto meglio di quanto dicano o facciano gli altri; – volerla avere sempre vinta; – discutere senza ragione o, quando ce l’hai, insistere caparbiamente e in malo modo; – dare il tuo parere senza esserne richiesto, e senza che la carità lo esiga; – disprezzare il punto di vista degli altri; – non ritenere tutti i tuoi doni e le tue qualità come ricevuti in prestito; – non riconoscere di essere indegno di qualunque onore e stima, persino della terra che calpesti e delle cose che possiedi; – citarti come esempio nelle conversazioni; – parlar male di te, perché si formino un buon giudizio su di te o ti contraddicano; – scusarti quando ti si riprende; – occultare al Direttore qualche mancanza umiliante, perché non perda il buon concetto che ha di te; – ascoltare con compiacenza le lodi, o rallegrarti perché hanno parlato bene di te; – dolerti che altri siano più stimati di te; – rifiutarti di svolgere compiti inferiori; – cercare o desiderare di distinguerti; – insinuare nelle conversazioni parole di autoelogio o che lascino intendere la tua onestà, il tuo ingegno o la tua abilità, il tuo prestigio professionale…; – vergognarti perché manchi di certi beni.

 “SE NON TI METTI A PRATICAR L’UMILTA’. TU PERDI LA PIU’ BELLA DELLE VIRTU’” Don Bosco